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50-78 CANTO XVII 117

50diede, cadendo, un rimbombo, su lui rintronarono l’armi,
furon di sangue intrise le chiome, che chiome di Grazie
pareano, e i ricci belli costretti nell’oro e l’argento.
Come nutrisce un uomo un florido germe d’ulivo,
in solitario loco, sgorgandovi d’acqua gran copia:
55cresce leggiadro e verde, gli spiri lo fanno ondeggiare
di tutti i venti, e tutto si copre di candidi fiori;
ma d’improvviso un vento vi giunge di fiera procella,
e dal suo solco lo scalza, e a terra schiantato lo stende:
cosí, poscia che morte a Panto, al figliuolo d’Euforbo,
60die’ Menelao, l’Atríde signor, lo spogliava dell’armi.
Come allorquando un leone superbo, cresciuto fra i monti,
la piú bella giovenca rapisce del branco che pasce,
poscia la sbrana e il sangue ne inghiotte e le visceri tutte:
intorno molti cani s’addensano, e molti pastori,
65e levano alte grida da lungi, ché farglisi presso
nessuno ardisce: tutti son pieni di scialbo terrore:
cosí, nessuno tanto coraggio nutriva nel petto,
che faccia a faccia ardisse scontrarsi col figlio d’Atrèo.
E facilmente qui, Menelao, del figliuolo di Panto
70l’armi predate avrebbe, se Febo, con invido cuore,
non l’impedía; ché contro gli spinse di Priamo il figlio.
Prese l’aspetto di un uomo, di Mente, signor dei Cicóni,
e a lui si volse, e queste gli disse veloci parole:
«Ettore, tu corri dietro a ciò che raggiunger non puoi,
75dietro ai cavalli corri del fiero nipote d’Eàco;
ma nessun uomo può cavalcarli, né al giogo domarli,
toltone Achille, ch’è progenie di madre immortale;
e intanto, il valoroso figliuolo d’Atrèo, Menelao,