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116 ILIADE 20-49

20Tanta non è di pantera la furia, non è di leone,
non di sterminatore selvaggio cinghiale, che in seno
cuore fierissimo alberga, che va di sua forza superbo,
quanto superbi sono di Panto i belligeri figli.
Pure, a Iperènore quanto giovò l’esser giovane e forte,
25quand’egli, contro me lanciata l’ingiuria, m’attese?
Egli diceva ch’ero fra i Dànai tutti il piú vile
nelle battaglie; e intanto tornar non poté coi suoi piedi
ad allegrar la sua sposa diletta, i diletti parenti.
Cosí, se innanzi a me ti pari, fiaccar la tua forza
30anche io saprò. Nella turba ritorna, ti dico, e d’innanzi
da me lèvati, prima che qualche malanno ti tocchi:
ché l’opere seguíte, vederle sa pure uno stolto».
     Disse cosí. Né colui fu convinto, ma contro gli disse:
«Anzi ora, Menelao, progenie divina, dovrai
35scontare il fratel mio, che uccidesti, e lo dici, e ti vanti,
ed orba entro la casa novella rendesti la sposa,
e lutto ai genitori recasti, e ineffabile pianto.
Io, di sicuro, fine porrei di quei miseri al pianto,
se la tua testa io potessi recare con me, l’armi tue,
40e nelle mani a Panto gittarle, e alla diva Frontíde.
No, senza lotta oramai non sarà questa nostra contesa,
né senza prova, chi sia valoroso, o proclive alla fuga».
     Poi ch’ebbe detto cosí, lo colpí nello scudo rotondo;
né pur lo franse il bronzo, ché indietro si torse la punta
45sopra lo scudo saldo. Secondo vibrò la sua lancia
l’Atríde Menelao, levando la prece al Croníde;
e, lo ferí mentr’egli cedea, nella gola, alla base,
e sopra il colpo poggiò, della mano seguendo l’impulso.
Passò l’aguzza punta fuor fuori pel morbido collo: