d’Ettore, il figlio spurio di Priamo colmo di gloria.
Reggea le briglia; e a mezzo la fronte il sasso aspro lo colse:
la pietra frantumò entrambe le ciglia, ché l’osso 740non resse al colpo, e gli occhi piombâr nella polvere a terra,
quivi, dinanzi ai suoi piedi; ed egli, dal carro elegante
piombò, ché palombaro sembrò: fuggí l’alma dall’ossa.
E a lui Pàtroclo queste rivolse parole di scherno:
«Poveri noi, com’è svelto quest’uomo, come agile danza! 745Senza alcun dubbio, pure se fosse nel mare pescoso,
molti farebbe satolli, se l’ostriche andasse a pescare,
giú da una nave il salto spiccando, anche fosse maretta,
se tanto bene il tuffo da’ in terra, saltando dal cocchio!
Davvero, fra i Troiani ci son ballerini di garbo». 750Detto cosí, balzò su l’eroe Cebrïóne; ed aveva
l’impeto d’un leone, che, mentre devasta gli ovili,
colpito fu nel petto, ché a morte il valor suo lo spinse.
Su Cebrïóne, cosí, tu, Pàtroclo, allora balzasti,
pieno di furia; e a te contro, dal carro giú Ettore corse; 755e intorno a Cebrióne lottarono come leoni
che sulla cima d’un monte s’azzuffano intorno a una cerva
uccisa; e sono entrambi superbi, famelici entrambi.
D’intorno a Merióne cosí quei due mastri di guerra,
Pàtroclo, di Menezio figliuolo, con Ettore illustre, 760trafiggere l’un l’altro tentaron col lucido ferro.
Ettore preso l’aveva pel capo, né pur lo lasciava:
Pàtroclo aveva un piede ghermito di contro; ed intorno
furono in zuffa gli altri confusi, i Troiani, e gli Achivi.
E come Noto ed Euro, talor, nelle gole d’un monte, 765scrollano, in gara l’uno con l’altro, una selva profonda,
il frassino, ed il faggio, e il cornio dall’aspra corteccia: