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707-736 CANTO XVI 107

che per tua mano cada la rocca di Troia superba,
né per la man d’Achille, che tanto è di te piú valente!».
     Cosí diceva il Nume. E indietro balzò d’un gran tratto
710Pàtroclo, e schivò l’ira di Febo che lungi saetta.
     Ora, Ettore i cavalli rattenne alle porte sceèe:
ché stava in due, se di nuovo lanciarsi dovesse alla mischia,
O se chiamar dovesse, raccoglier le genti alle mura.
E Apollo Febo, mentre pensava cosí, gli fu presso,
715d’uomo sembianza assunta, gagliardo e nel fiore degli anni,
d’Asio, che zio da parte di madre era ad Ettore prode.
Fratello d’Ècuba era questo Asio, figliuol di Dimante,
che nella Frigia abitava, su l’acque del fiume Sangario.
Le sue parvenze assunte, cosí Febo Apolline disse:
720«Ettore, tu dalla pugna desisti. Perché? Non conviene.
Deh!, quanto io son piú fiacco di te, tanto fossi piú forte!
Mal ti saprebbe allora, d’avere lasciata la pugna!
I tuoi corsieri, su, contro Pàtroclo spingi, se mai
vincerlo possa, e a te voglia Febo concedere il vanto!».
     725E cosí detto, il Dio tornò dove ardeva la zuffa.
Ed Ettore fulgente, comando a Cebríone diede
che verso la battaglia sferzasse i cavalli. Ed Apollo,
confuso fra la turba, gittò negli Achei lo scompiglio
tristo, e concesse gloria di Priamo al figlio, e ai Troiani.
730Ettore, poi, gli altri Dànai lasciava, né alcuno uccideva,
ma contro Pàtroclo solo spingeva i cavalli veloci.
Balzò dall’altra parte, dal carro giú Pàtroclo a terra:
nella sinistra la lancia stringea, nella destra un macigno
bianco, tutto aspro, che tutto sparía nella solida palma.
735Saldo sui pie’, lo scagliò; né molto andò lungi dal segno
né vano il colpo fu: ché Cebríone còlse, l’auriga