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giorno per giorno, senza mai tregua, se adesso gli Argivi
l’armi predar mi potranno, ché sono caduto sul campo.
500Dunque, con tutta la forza tien fermo, ed esorta le genti».
     Mentre diceva cosí, si stese sugli occhi e le nari
a lui di morte il fato. Puntandogli un piede sul petto,
Pàtroclo fuori trasse la lancia dal cuore; e con quella
il dïaframma uscí. La lancia e lo spirito a un tempo
505fuori gli trasse; e i cavalli sbuffanti, i Mirmídoni quivi
tenner, che, sciolti dai cocchi, bramavano volgersi a fuga.
     E Glauco, grave cruccio soffrí, poi che udí quella voce;
e il cuor gli sussultò, ché a difenderlo gir non poteva;
ei con la mano il braccio reggeva e premeva: ché strazio
510a lui dava una piaga che un dardo di Teucro gli aperse,
mentre ei sul muro eccelso correva a salvare i compagni.
E queste preci a Febo che lungi saetta, rivolse:
«Odimi, o re che forse nel fertile suolo di Licia,
che forse in Tracia sei: ché udir da ogni parte tu puoi
515un uom tanto affannato quanto ora l’affanno mi preme.
Sono colpito da questa dogliosa ferita, e la mano
tutta d’intorno è trafitta d’acuto dolore, né il sangue
vuole stagnare; e fiero mi grava su l’omero un peso:
salda tenere l’asta non posso, non posso lanciarmi
520alla battaglia, mentre caduto è Sarpèdone, il primo
di noi, di Giove il figlio; né accorre a difenderlo il padre.
Ma tu, signore, a me risana la fiera ferita,
sopisci i miei tormenti, la forza a me dà, ché ai compagni
Lici un appello io lanci, li spinga a tornare alla pugna,
525ed io stesso combatta d’intorno alla salma caduta».
     Cosí disse pregando; né sordo fu il Nume a l’appello:
súbito i fieri dolori lení, su la piaga dogliosa