cosí, dal carro su, boccheggiante, sull’asta lo trasse,
e giú lo scosse a terra bocconi; e cadendo fu spento. 410Poscia Erilào, che all’assalto moveva, nel mezzo del capo
colpí con un macigno. Si franse la testa in due parti
dentro la salda celata: piombò nella polvere prono
quegli; e su lui la Morte s’effuse, che l’anime sperde.
E dopo questo, Erimanto trafisse, Anfòtero, Epalte, 415ed Echio, e Piri, Ifèo, Evíppo, Tlepòlemo, figlio
di Damàstore, e il figlio d’Argèa, Polimèlo: un su l’altro,
spènti li spinse contro la terra che tutti nutrica.
Come Sarpèdone sotto le mani di Pàtroclo forte
cader vide i compagni dai brevi corsali, la voce 420levò, lanciando ai Lici, divini guerrieri, rampogne:
«Vergogna, o Lici! Dove fuggite? Siate ora animosi,
ché io voglio a quest’uomo far fronte, sapere voglio io
chi è, l’eroe sí forte, che tanti malanni ai Troiani
recò: ché a molti prodi disciolse egli già le ginocchia». 425Disse. Ed a terra, chiuso nell’armi, balzò giú dal cocchio.
Pàtroclo anch’egli dal carro balzò, ché lo scorse; ed entrambi,
come avvoltoi dal becco grifagno, dall’unghie ricurve,
che sopra un’alta rupe s’azzuffan con alto clamore,
cosí l’uno su l’altro proruppero, alzando alte grida. 430Di Crono astuto il figlio li vide, e a pietà fu commosso,
e si rivolse ad Era, sua moglie e sorella, e le disse:
«Ahi!, l’uomo a me su tutti diletto, Sarpèdone, è fato
che del figliuol di Menezio, di Pàtroclo ai colpi, soccomba!
Io penso, e il cuor sospeso fra due mi rimane nel petto: 435se io, vivo tuttora, lontan dalla zuffa dogliosa
lo tragga via, lo rechi sul fertile suolo di Licia,
oppur lo prostri sotto le man’ del figliuol di Menezio».