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170-199 CANTO II 33

170vi gitterete dunque cosí nelle rapide navi,
ritornerete cosí di nuovo alla casa, alla patria,
e lascerete, vanto per Priamo e per tutti i Troiani,
Elena Argiva, per cui, sottesse le mura di Troia,
caddero tanti Achivi, lontani alla patria diletta?
175Non esitare, muovi, su via, fra le genti d’Acaia,
ad uno ad uno tutti trattieni con blande parole,
e non lasciar che in mare trascinin le rapide navi».
     Cosí diceva. Ulisse conobbe la voce d’Atena.
Corse, ed il manto gittò lontano da sé: lo raccolse
180Euríbate itacense, l’araldo che ognor lo seguiva.
Ed egli venne ov’era l’Atride Agamènnone; e tolse
lo scettro a lui, paterno retaggio, di tempra perenne.
E quello in pugno stretto, movea fra le navi d’Acaia,
E quando alcuno, o re, trovasse, od insigne guerriero,
185gli si faceva presso, con blande parole, a frenarlo:
«Bennato, oh!, non conviene che tu fugga, al pari d’un tristo:
anzi, fermare ti devi, e indurre a fermarsi le turbe.
Perché tu non sai bene qual è dell’Atríde il disegno:
ora alla prova mette gli Achei; ma già pronto è il castigo.
190Non tutti quanti udimmo quanto egli dicea nel consiglio:
vedi che in ira non salga, che danno non rechi agli Achivi:
pericolosa è l’ira dei principi alunni di Giove,
ché l’onor loro da Giove proviene, ché a Giove son cari».
Se alcuno poi del volgo vedea, lo coglieva che urlasse,
195lo percotea con lo scettro, diceva, levando la voce:
«Férmati, maledetto, da’ retta ai consigli degli altri
che valgon piú di te, che sei senza forza ed imbelle,
e che non conti nulla, né in guerra, né a dare consigli.
Re non saremo, no, quanti Achivi qui siamo: ché un bene

Omero, Iliade, I - 3