Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/87

32 ILIADE 140-169

140E l’assemblea s’agitò, come i gran cavalloni del mare,
quando nel Ponto Icario li scuote con Èuro Noto
che sovra loro piombò, dalle nubi del figlio di Crono.
Come se Zefiro un campo di biade profonde sconvolge,
impetuoso spirando, che tutte s’inclinan le spighe:
145tutta cosí s’agitava la folla; e con alto clamore
verso le navi correvano; e polvere in alto sorgeva
di sotto ai piedi loro. Andava l’un l’altro esortando
di prendere le navi, di spingerle al mare divino:
purgavano i fossati, traevan di sotto i puntelli,
150per il desio del ritorno: salivano al cielo le grida.
     E qui, contro il destino, tornavano in patria gli Achivi,
se non avesse cosí detto Era divina ad Atena:
«Ahimè!, di Giove, re dell’ègida, indomita figlia,
dunque gli Argivi cosí fuggiranno alle case, alla cara
155terra paterna, sopra la stesa del mare infinito,
e lasceranno, vanto per Priamo, per tutti i Troiani,
Elena argiva, per cui, sottesse le mura di Troia,
caddero tanti Achei lontani alla patria diletta!
Scendi alle schiere, su via, degli Achei dall’usbergo di bronzo,
160ad uno ad uno tutti trattieni con blande parole,
e non lasciar che in mare trascinin le rapide navi».
     Disse cosí; né fu tarda la Diva degli occhi azzurrini,
ma si lanciò, discese dai vertici sommi d’Olimpo,
velocemente raggiunse le rapide navi d’Acaia.
165E Ulisse qui trovò, che a Giove era uguale nel senno,
fermo: ché pur toccata la negra sua solida nave
ei non avea: ché cruccio gli empieva lo spirito e il cuore.
Gli stette accanto, e disse la Diva dagli occhi azzurrini:
«Figlio divin di Laerte, Ulisse dai molti laccioli,