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408-437 CANTO I 17

e ai legni, al mar gli Achivi ricacci, ne faccia sterminio,
sicché possano tutti godere del loro sovrano,
410e veda anche l’Atríde possente, Agamènnone sire,
quanta rovina fu degli Achivi oltraggiare il piú forte».
     E a lui cosí rispose, cosparsa di lagrime, Teti:
«Ahi! figlio mio, perché t’ho dato in mal punto alla luce,
t’ho nutricato? Almeno, giacché la tua vita è sí breve,
415vivere senza pianto potessi tu, senza cordoglio!
Invece, hai vita breve, e sei piú d’ogni altro infelice:
t’ho partorito perché tu avessi un destino di pene!
Andrò dunque all’Olimpo coperto di neve, ed a Giove
re della folgore, tutto dirò, se pur voglia ascoltarmi.
420Or tu, fermo rimani vicino alle navi, e lo sdegno
contro gli Achei mantieni, né prender piú parte alla guerra.
Ché Giove andato è presso gli Etíopi innocenti a banchetto,
d’Ocèano ai lidi, ieri, seguendolo tutti i Celesti.
Ritorno esso farà fra dodici giorni all’Olimpo;
425e allora, io nella casa di Giove dal bronzeo suolo
andrò, l’abbraccerò, e spero di farlo convinto».
     Detto cosí, partí la Diva; ed il figlio rimase,
pieno di cruccio il cuore, pensando alla donna sua bella,
che contro voglia, a forza rapita gli avevano. E Ulisse
430giunse frattanto a Crise, recando la sacra ecatombe.
E poi che furon giunti nel seno del porto profondo,
ammainaron le vele, le posero dentro la nave,
l’albero nella corsía deposer, mollando gli stragli
rapidamente; e a forza la spinser coi remi all’approdo.
435L’àncora poi gittaron, legarono l’orza a la spiaggia;
scesero quindi anch’essi sovressa la spiaggia del mare,
e al Nume offrîr che lungi saetta, la sacra ecatombe.

Omero - Iliade, I - 2