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viii prefazione

mortali ci si recano con buone offerte, ne ottengono oracoli esaurienti (Framm. 134); di Tucidide, il quale afferma che prima del nome di Elleni prevalse per la più gran parte delle stirpi greche quello di Pelasgi (I, 3); di Erodoto, da cui sappiamo che in origine l’Ellade si chiamava Pelasgia (II, 56), che i Pelasgi adoravano dei Numi senza avere ad essi attribuito alcun nome, e che la loro religione aveva essenzialmente il carattere fallico, che vediamo permanere, con stridenti contrasti, in tante manifestazioni della Grecia classica; di Omero, un cui rapido accenno ci lascia intravedere un particolare rituale dell’antica vita pelasgica (Iliade, XVI, 232):

Giove, pelasgico re, Dodonèo, che lontano dimori,
che su Dodona imperi gelata, ed i Selli a te presso,
ministri tuoi, che i pie’ non si lavan, che dormono in terra.

E nelle Supplici di Eschilo (252), Pelasgo, re epònimo d’Argo, segna i confini del suo regno, cioè della Pelasgia:

Io son Pelasgo, figlio di Palètone
che dalla terra nacque; e son signore
di questo regno. Questi campi miete,
obbediente ai cenni miei, l’epònima
gente pelasga. Il regno mio si stende
ad occidente su la terra tutta
che lo Strimone limpido traversa.
I miei confini, le contrade abbracciano
dei Perrèbi, oltre il Pindo, e dei Peoni
le alture, e i monti di Dodona: l’umido
pelago segna l’ultimo confine.

Questo il substrato. Ad esso si sovrappongono via via, nel corso dei secoli, altre ondate più o meno impetuose, spostandolo in qualche punto, qua fondendosi, là soverchiandolo,