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289-317 CANTO I 13

Se valoroso in guerra l’han fatto gli Dei sempiterni,
290gli hanno perciò concesso che gli altri egli copra d’ingiurie?».
Ma l’interruppe Achille divino, e cosí gli rispose:
«Certo, un dappoco, un uomo da nulla chiamato sarei,
se a te, qualunque cosa tu ordini, ceder dovessi.
Questi comandi ad altri rivolgi, a me no: dètta legge
295agli altri, non a me: ch’io non sono disposto a ubbidirti.
Ed una cosa ancora ti dico, e tu figgila in mente:
io non intendo alle mani venire con te né con altri,
per la fanciulla che un giorno mi deste, che or mi togliete;
ma di quanto altro contiene la negra veloce mia nave,
300nulla potrai rapire, portare con te, ch’io non voglia.
Fanne la prova, su, ché possan vedere anche questi:
súbito intrisa sarà la mia lancia del nero tuo sangue».
     Poi ch’ebbero cosí conteso con dure parole,
sursero; e l’assemblea vicino alle navi si sciolse.
305Andò verso le navi sue snelle e la tenda il Pelíde,
e di Menezio il figlio con gli altri compagni era seco.
L’Atríde spinse poi nel pelago un rapido legno,
venti remigatori trascelse, e pel Nume vi pose
un’ecatombe, vi fece salire la figlia di Crise;
310e guida Ulisse fu, l’eroe dall’accorto consiglio.
Or questi, asceso il legno, solcavano l’umide strade.
Quindi alle turbe ordinò l’Atríde di rendersi monde.
E si mondarono tutti, nel mare gittâr le sozzure,
e sacrifizio ad Apollo offriron di capre e di tori,
315scelta ecatombe, presso la sponda del mare infecondo;
e il pingue odore al cielo salia con le spire del fumo.
Erano intente a ciò le schiere; né il figlio d’Atrèo