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230-259 CANTO I 11

230togliere i doni a chi si levi, e contrasti i tuoi detti!
Buono per te che a gente da nulla comandi, sovrano
divoratore del popolo tuo! Se no, questo sarebbe
l’ultimo oltraggio tuo. Ma ora, ti dico e ti giuro
solennemente, per questo mio scettro, che foglie né rami
235non gitterà piú mai, poi che il tronco sui monti ha lasciato,
né piú rinverdirà, ché foglia e corteccia recise
furono intorno intorno dal bronzo; ed i giudici Achivi
lo stringono ora in pugno, che sono custodi alle leggi
per volontà di Giove: sia dunque tal giuro solenne:
240avranno forse un giorno desire d’Achille gli Achivi
tutti; ché tu non potrai, per quanto ti dolga, aiutarli,
allor che tanti e tanti morenti cadran sotto i colpi
d’Ettore sterminatore: tu allor dovrai roderti il cuore
nel cruccio tuo, che il piú forte negasti onorar degli Achivi».
     245Il figlio di Pelèo cosí disse, ed a terra lo scettro
di borchie d’oro ornato batté; poi sedette egli stesso.
Ma furïava il figlio d’Atrèo, dal suo canto. Ed allora
Nèstore surse, il re dei Pilî, l’arguto oratore,
dalla cui bocca l’eloquio fluiva piú dolce del miele.
250D’uomini due progenie vedute egli aveva già spente,
ch’erano ai tempi suoi venute alla luce e cresciute
nell’arenosa Pilo: sovrano era adesso alla terza.
Questi, pensando il bene d’entrambi, cosí prese a dire:
«Ahi! che gran doglia sopra la terra d’Acaia s’aggrava!
255Priamo adesso dovrà godere, e di Priamo i figli,
dovranno tutti gli altri Troiani allegrarsi di cuore,
quando sapranno di voi, che state cosí contendendo,
voi che i piú saggi siete fra i Dànai, che siete i piú forti!
Su via, datemi retta: ch’entrambi piú giovani siete