200Pallade Atena. Aveva negli occhi terribile un lampo;
e a lei volse il discorso, parlò queste alate parole:
«Perché qui vieni ancora, figliuola di Giove? Vedere
la tracotanza vuoi d’Agamènnone figlio d’Atrèo?
Ma chiaro io ciò ti dico, che tu vedrai presto compiuto: 205con la sua vita costui scontare dovrà l’arroganza».
E Atena a lui, la Diva d’azzurra pupilla, rispose:
«Dal cielo io son discesa per fare che cessi il tuo sdegno,
se udirmi vuoi. Mi manda la Dea dalle candide braccia,
Era, ch’entrambi v’ama, d’entrambi si piglia pensiero. 210Su, dalla rissa desisti, non mettere mano alla spada,
e coprilo d’oltraggi, comunque ti vengano detti.
Perché questo ti dico, ed esito avrà ciò ch’io dico:
giorno verrà che doni tre volte avrai tanti, stupendi,
per compensar questo affronto. Su, frénati, e fa’ ciò ch’io dico». 215E a lei rispose Achille veloce con queste parole:
«Essere docili, o Dea, conviene, se voi comandate,
anche se l’ira il cuore ci gonfia: ché questo è pel meglio:
prima d’ogni altro i Numi ascoltano chi li obbedisce».
Disse, e la grave mano trattenne sull’elsa d’argento, 220nella guaina la spada respinse, e ribelle al comando
non fu d’Atena. E Atena di nuovo tornò su l’Olimpo,
nella dimora di Giove, dell’ègida re, fra i Celesti.
E con terribili detti, di nuovo il figliuol di Pelèo
contro l’Atríde si volse, ché l’ira non s’era placata: 225«Avvinazzato, ch’ài ceffo di cane, ch’ài cuore di cervo,
mai di vestire l’armi, d’andar con le turbe alla pugna,
d’andare coi piú forti guerrieri d’Acaia agli agguati,
non t’è bastato il cuore: piú duro ti par della morte.
Di certo, è meglio assai, nell’esercito grande d’Acaia,