80Troppo è possente un re, se contro il piú debol si adira:
ché, pur se sul momento perviene a frenare lo sdegno,
serba il rancore poi, sin ch’egli non l’abbia sfogato,
chiuso nel cuore profondo. Tu di’, se salvarmi prometti».
E Achille pie’ veloce rispose con queste parole: 85«Fa’ cuore, il vaticinio di’ pur come tu l’hai veduto:
ch’io giuro a fe’ d’Apollo diletto di Giove, a cui preci
levando, tu, Calcante, ai Dànai scopri gli augúri,
niuno, sin ch’io vivrò, sinché terrò aperti questi occhi,
ardirà mai su te gittar vïolente le mani, 90niuno fra i Dànai tutti, neppur se Agamènnone dica,
che or d’essere il primo si vanta fra tutti gli Achivi».
Fatto allor cuore, disse cosí l’infallibile vate:
«Non già d’inadempiuta preghiera, non già d’ecatombe:
pel sacerdote, il Nume si lagna: ché il figlio d’Atrèo 95l’offese, e non gli sciolse la figlia, né accolse i suoi doni.
Vi diede e vi darà tormenti per questo, l’Arciere;
né dagli Achei lontane terrà la rovina e la peste,
prima che la fanciulla dagli occhi fulgenti, a suo padre
resa non abbiano, senza riscatto né prezzo, ed a Crisa 100rechino un’ecatombe. Potremo in tal modo placarlo».
Dunque, cosí parlato, Calcante sedette. E fra loro
surse Agamènnone, figlio d’Atrèo, potentissimo eroe,
pieno di cruccio. L’alma sua negra era colma di furia,
riscintillante fuoco parevano gli occhi. E Calcante 105prima guardò biecamente, volgendogli queste parole:
«Profeta di sciagure, tu mai cosa grata al mio cuore
detta non m’hai: ti piace predire mai sempre malanni:
nulla di buono mai né dici né compier sapesti.
Ed anche ora, fra i Dànai cianciando l’oracolo vai