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L PREFAZIONE


Ma aulico non è. Il carattere dei due poemi è essenzialmente popolaresco, o, per lo meno, universale. Omero cantava a tutto il popolo. A un popolo che doveva interessarsi profondamente agli eroi che egli cantava, e nei quali riconosceva i proprî eroi: ad un popolo acheo.

E poiché il mondo acheo tramonta poco dopo il sacco di Troia, il canto d’Omero non nacque molto dopo gli avvenimenti che narra.

Nessuna meraviglia. Il pregiudizio che debbano passare secoli perché una materia divenga poetica, è interamente moderno, e legato ad un concetto dell’epica essenzialmente falso, e, in ogni modo, non applicabile all’Iliade.

I canti degli aèdi, erano, sí, poesia; ma, come ho detto, erano, innanzi tutto, storia. L’unica storia di quei tempi. E magari contemporanea. Telemaco, alla corte di Menelao, sente esaltare le imprese di suo padre Ulisse. Questi, nell’isola dei Feaci, ascolta le proprie gesta dalle labbra di Demòdoco.

Né alcuno potrà ricordare, a contrasto, i luoghi in cui Omero attribuisce agli eroi d’Ilio prodezze che i suoi contemporanei non sarebbero capaci d’emulare neppure alla lontana. Nestore fa la medesima osservazione a proposito d’uomini che avevano trascorsa con lui la giovinezza.

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In uno dei suoi scritti letterarî1, Napoleone istituisce un confronto fra l’Eneide e l’Iliade. E mentre rileva, con

  1. Oeuvres littéraires, Paris, Savine, IV, pag. 437-442.