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XLIV PREFAZIONE

dei suoi poemi con le lingue effettivamente parlate ai suoi tempi?

Ancora nel V secolo a. C., ad Elleni che appartenessero a città di dialetto diverso, riusciva difficile intendersi precisamente1. Ora, dato che il processo di sviluppo fu, non dalla unità alla varietà, bensí da questa a quella, s’intende che ai tempi d’Omero la diversità dové essere ben maggiore.

La verità, al solito, è riflessa in Omero. Nei poemi vediamo che i varî alleati troiani non s’intendono affatto fra loro (II, 803, 867), come non s’intendono i varî popoli di Creta. Al contrario, poi, tutti i capi degli alleati troiani s’intendono, non solamente fra loro, ma altresí coi capi achei. E perché non si può attribuire all’Iliade una intenzione convenzionale, come quella per cui nei poemi cavallereschi vediamo conversar correntemente cristiani e saraceni, si può ragionevolmente concludere che Omero e i suoi ascoltatori avevano coscienza, che al disopra di tanta varietà di dialetto, esisteva un linguaggio comune, plasmato un po’ su tutti quei dialetti, e che serviva alle relazioni tra città e città, fra corte e corte. Linguaggio inteso, più o meno, da tutti, e più specialmente usato, e con maggiore eleganza, da quanti per grado e condizione di vita dovevano più spesso trovarsi lontani dalla patria.

Tra i principalissimi fucinatori di questo linguaggio dovevano essere gli aèdi, che giravano da per tutto, e dovevano farsi capire da tutti. E perché questi aèdi, anche se esistevano prima, ebbero però il loro grande fiore nel momento micenaico, possiamo concludere che in questo momento s’intensificò ed accelerò la unificazione.

  1. Aperçu d’une histoire de la langue grecque, pag. 70.