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PREFAZIONE | XXXIX |
arbusti, frutti, fiori, fiere e animali domestici; e l’uomo, infine, e tutto quello che occorre alla vita civile, cibi, bevande, vesti, profumi; e l’architettura, la metallurgia, la ceramica, le armi; e la navigazione, il commercio, la vita politica e sociale, la religione, i giuochi, l’estetica. È il ricco vocabolario d’una civiltà completa, sviluppatissima.
E quale potrà essere stata, se non la cretese? L’ipotesi è oramai nella coscienza di tutti. E la confortano una serie di ravvicinamenti archeologici; perché gli scavi di Creta ci hanno dati molti degli oggetti a cui, per quanto si può indurre dalle descrizioni omeriche, meglio convengono le voci di questo vocabolario misterioso: il μέγαρον, per esempio l’ἀσάμινθος, il δέπας, il λέβης, la μίτρα, lo ξίφος, il πέλεκυς, l’ἀμφικύπελλον1 (vedi pag. XXII nota 1).
Ma c’è, secondo me, un’altra ragione per ravvicinare questi vocaboli al mondo egèo. È il loro carattere intrinseco. È la loro compagine, il loro suono fluido, pittoresco, aereo insieme e carnoso. È quell’abbondanza di sibilanti, poi declinata nel greco classico, che empie le parole come d’un brusio di mare. E l’abbondanza di ypsilon e di iota che le imbeve d’un lume azzurro. È la prevalenza quasi assoluta di vocaboli sdruccioli, agili e quasi volitanti. È quello sbocciare, ai loro àpici, di suffissi, o lievissimi, lanceolati: κύμινδις, κίθαρις, ἄγρωστις2; oppure arrotondati, ma da consonanti aspirate, fluide, vanescenti, leggeri come i pappi dei cardi: ὑάκινθος, ἐρέβινθος ἀσάμινθος, κυπάρισσος3. È la soavità liquida