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PREFAZIONE XXXVII

sare dall’arte ornamentale all’arte narrativa, epica. E se precisiamo la nostra osservazione, i guerrieri del famoso cratere di Micene, con le loro barbe a punta, le chiome prolisse, l’ampio scudo, gli stinchi ben riparati, sono, senza dubbio, gli omerici guerrieri dalle lunghe chiome e dai vaghi schinieri, che poi, superato il buio del cosí detto Medio evo, ritroviamo nelle primissime manifestazioni dell’arte greca propriamente detta1. Né meno familiare, ai conoscitori di quest’arte, riesce l’immagine della donna con la mano sul capo.

In sostanza, dunque, vediamo, se non propriamente sparire, certo illuminarsi e limitarsi il pauroso bàratro, che tanto ci disorientava, fra il mondo omerico e le prime manifestazioni della vita nuova d’Ellade. E le conseguenze riescono particolarmente utili per intendere molti dei fenomeni letterari che nella nostra zona di luce vediamo seguire alla fioritura dei poemi omerici.

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Uno fra i principali elementi, forse il più efficace, del fascino che i poemi d’Omero esercitano sugli spiriti artistici, è da ricercare nella vaghezza della lingua, nella sua energia, nel suo colore, nella sua precisione, accoppiata a tanta libertà ed aerea leggerezza.

Oggi la critica incomincia ad approfondirne l’analisi, e a scoprire, moltiplicandone gli effetti, il segreto di questa magia.

E fra i molti elementi di composizione della lingua omerica, tre se ne sceverano sicuramente.


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  1. Vedi, per esempio, i guerrieri in un’anfora d’Atene dello stile del Dípylon in Perrot-Chipiez, VII, fig. 114, e il costume delle donne in Perrot-Chipiez, VII, fig. 175, cfr. 182, 226, etc.