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230-259 CANTO XII 283

230«Polidamante, queste non sono parole d’amico:
certo, pensare sapresti parole migliori di queste;
ma se davvero questo che dici, lo dici per zelo,
allora sí, che i Numi t’avranno sconvolto il giudizio,
quando consigli che noi trascuriamo i decreti di Giove
235sire del tuono, che a me pur diede promessa ed assenso,
e invece tu consigli che ascolto si porga al veloce
volo d’augelli! Io no, di lor non mi curo, né bado
se vanno a destra, verso l’aurora ed i raggi del sole,
se vanno a manca, verso la densa caligine ombrosa.
240Obbedïenti noi saremo al decreto di Giove,
che sui mortali tutti, che regna su tutti i Celesti:
ottimo auspicio è solo combattere in pro’ della patria.
E tu, che cosa dunque paventi di guerre e di zuffe?
Anche se tutti noi cadessimo, quanti qui siamo,
245presso alle navi argive, paura non c’è che tu muoia,
ché il cuore tuo non è coraggioso, non è bellicoso.
Però, se dalla pugna t’astieni, se con la lusinga
delle tue ciance, qualche altro distoglier tu vuoi dalla pugna,
súbito dalla mia lancia percosso, dovrai qui morire».
     250E, cosí detto, mosse per primo; e seguirono tutti,
con infinito clamore. E Giove, dei folgori sire,
una procella di venti scagliò dalle vette de l’Ida,
che verso i legni recava la polvere, e torpide rese
le menti achee, concesse ad Ettore gloria e ai Troiani.
255Nei suoi prodigi dunque fidando, e nel proprio valore,
nel muro degli Achei tentarono aprire una breccia.
Strappavan le bertesche, crollare facevano i merli,
scalzavano coi pali dal suolo i pilastri sporgenti
che primi avean gli Achivi piantati a sorregger le torri.