200un’aquila alta in cielo, tagliando l’esercito a manca,
che fra gli artigli un immane recava dragone cruento,
vivo, guizzante ancóra, né ancor della pugna oblioso:
ché, ritorcendosi indietro, nel petto ferí, presso il collo,
la ghermitrice; e quella, crucciata di spasimo, a terra 205lunge da sé lo spinse. Piombò quello in mezzo alle schiere:
essa, mandando uno strido, volò via coi soffi del vento.
Abbrividirono, quando giacere nel campo i Troiani
videro l’agile serpe, prodigio del figlio di Crono;
e allor Polidamante, cosí disse ad Ettore ardito: 210«Ettore, tu nei consigli di solito sempre m’investi,
anche se bene io parlo; perché non conviene, tu dici,
che contro te, nei consigli, si levi a parlare un gregario,
né fra le zuffe; ma è bene che ognor la tua forza prevalga.
Or tuttavia ti dirò tutto quello ch’io credo pel meglio: 215sui Dànai non si muova, né intorno alle navi si pugni:
perché questo avverrà, credo io, se pur giunse ai Troiani
simile augurio, mentr’essi tentavan varcare la fossa.
L’aquila, ch’alta nel cielo, tagliava l’esercito a manca,
e negli artigli immani stringeva un dragone cruento 220vivo tuttora, via lo gittò pria che al nido tornasse,
né li potè recarlo, per darlo ai suoi figli in pastura:
e cosí noi, se pure potremo espugnare le porte
a viva forza, e il muro dei Dànai, e respingerli vinti,
non torneremo in pace, dai legni sul nostro cammino, 225ché lasceremo molti dei nostri, che avranno col ferro
uccisi ivi gli Achei, pugnando a difender le navi.
Rispondere cosí dovrebbe un profeta, se chiara
scienza d’auspici avesse, se fede gli avesser le genti».
Ettore lo guardò biecamente, e cosí gli rispose: