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646-675 CANTO XI 265

e lo condusse per mano, invito gli fe’ che sedesse.
Ma rifiutò l’invito di Nèstore, Pàtroclo, e disse:
«Tempo non ho di sedere, non posso ubbidirti, o vegliardo,
stirpe di Giove: ho troppo rispetto e timore d’Achille,
650che m’inviò per vedere chi fosse quest’uomo ferito.
Ed è, lo veggo bene da me, Macaóne sovrano.
Ora, di nuovo andrò, per recare il messaggio ad Achille:
tu sai com’è tremendo quell’uomo, o divino vegliardo:
fa’ presto ad incolparti, se pure sei scevro di colpa».
     655Nèstore a lui cosí, cavaliere gerenio, rispose:
«E come, dunque, Achille ha tanta pietà degli Achivi,
di chi cadde prostrato dai colpi? Neppure un’idea
egli ha, di quanto lutto funesta l’esercito: ch’ora
giacciono sopra le navi, colpiti, trafitti, i piú forti.
660Giace colpito il pro’ Dïomede, figliuol di Tidèo,
giaccion feriti, Ulisse, maestro di lancia, e l’Atríde:
ferito nella coscia da un dardo, anche Eurípilo giace;
ed ho condotto or ora quest’altro lontan dalla zuffa,
ché un dardo lo colpí, lanciato dall’arco. Ed Achille,
665prode com’è, non si cura dei Dànai, pietà non ne sente.
Aspetta forse l’ora che sopra la spiaggia, i navigli
ardano in onta agli Argivi, distrutti dal fuoco nemico,
e noi, l’un dopo l’altro, cadiamo trafitti? Ché intatta
la forza mia non è, come un giorno, nell’agili membra.
670Deh!, se giovane io fossi, se intatta in me fosse la forza,
come nei dí che surse contesa con quelli d’Elèa
per una preda di buoi, quando uccisi Itimóne gagliardo,
figliuolo d’Iperòco, che in Elide aveva soggiorno!
Io gli rapivo una mandra, d’ammenda; corse egli a difesa,
675e lí fra i primi cadde, colpito dal mio giavellotto,