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PREFAZIONE XXXIII


sempre che siano opere d’un artista, sommo artista, egiziano, o discepolo degli egiziani, chiamato da qualche principotto acheo. Opere sporadiche, insomma, non già scuola. E son questi i capolavori dinanzi a cui Omero rimaneva sbalordito, e li attribuiva alla maestria soprannaturale d’Efesto1.

E rimane un terzo gruppo, che può essere rappresentato, per esempio, dalla stele di Micene in calcare con scene di guerra e di caccia2, dall’assedio di città sul celebratissimo vaso d’argento, dalle famose maschere d’oro della tomba degli Atridi.

E, a dire la verità, viene un po’ da ridere, quando studiosi d’arte, anche d’altissimo valore, come il Perrot, immaginano che Omero potesse ispirarsi a simili opere. La loro antichità non faccia velo ai nostri occhi: sono anch’esse, come le opere del Dípylon, scarabocchi.

E, cosí alla prima, verrebbe il pensiero che la loro puerilità e rozzezza siano dovute ad arcaismo. Ma quando vediamo che, per esempio, la stele era sulla tomba che racchiudeva alcune fra le opere piú meravigliose del secondo gruppo, dobbiamo concludere che, se tutto non cospira a trarci in inganno, essa era piú recente di quelle.

Ed effettivamente, questo terzo gruppo è un filone parallelo, contemporaneo agli altri due. E invano gli storici del-



    ne possono trovare altri esempî. Anche la somiglianza, e quasi, l’identità, fra uno dei pugnali di Micene e il pavimento di Tell-el Amarna (vedi pag. XIII), è suscettibile d’interpretazione bilaterale.

  1. Si vedano i raffronti istituiti dal Moret (Rois et Dieux d’Egypte, 237 sg.) fra lo scudo d’Achille e varie figurazioni egiziane. Ben altrimenti persuasivi che non quelli tentati dal Poulsen (op. cit., 173).
  2. Perrot-Chipiez, VI. fig. 359-364.