fanti struggeva e cavalli. Né Ettore n’ebbe sentore,
poi che nel manco lato del campo egli allor combatteva,
presso le rive del fiume Scamandro, ove allora piú fitte 500spente cadevan le genti, sorgeva perpetuo grido
d’intorno a Idomenèo gagliardo ed a Nèstore grande.
Ettore s’azzuffava con essi, e compieva prodigi
con la sua lancia, col carro, struggea dei garzoni le schiere.
Pur, non avrebbero il campo ceduto gli Achei valorosi, 505se d’Elena, la bella dal fulgido crine, lo sposo,
fuor non ponea Macaóne, di genti pastor, dalla zuffa,
ché lo colpí con un dardo trisulco su l’omero destro.
Troppo temevan per lui gli Achivi gagliardi guerrieri,
ch’ei non cadesse spento, nel vario cimento di guerra. 510E tosto Idomenèo parlò, disse a Nèstore divo:
«Nèstore, figlio di Nèleo, gran vanto di tutti gli Achivi,
sali, su via, sul tuo carro, con te salga pur Macaóne,
e, piú veloce che puoi, dirigi i cavalli a le navi:
ché vale quanto molti da solo un medico esperto, 515che dardi estrae, che piaghe lenisce coi farmachi succhi».
Disse cosí; né ritroso fu Nèstore, il sire gerenio:
súbito sopra il cocchio salí, presso a lui Macaóne
venne, d’Asclepio figlio, del medico immune da menda:
vibrò sopra i cavalli la sferza; e volarono quelli 520verso le concavi navi: ché grata era ad essi la via.
Ma Cebrióne intanto, che ad Ettore stava vicino,
visti a scompiglio i Troiani, gli volse cosí la parola:
«Ettore, entrambi noi fra i Dànai stiam qui combattendo,
del campo al lato estremo, fra l’orrido suon della zuffa; 525ma van sossopra gli altri Troiani, cavalli e guerrieri,
ché li sconvolge Aiace, figliuol di Telàmone: bene