«Ettore sopra noi rovina, quel fiero malanno:
saldi, su via, restiamo, teniamogli fronte a pie’ fermo».
Disse: e la lancia vibrò, scagliò, che gittava lunga ombra. 350Né vano il colpo fu: lo colpí dove pose la mira,
al capo, in cima all’elmo; ma il bronzo respinto dal bronzo
fu, né raggiunse il bel volto, ché lungi lo tenne l’elmetto
con la visiera e i tre ciuffi, che Febo donato gli aveva.
Ettore presto lontano balzò, si mischiò con le turbe; 355e stie’ sopra il ginocchio piombato, poggiato alla terra
con la man salda; e notte profonda gli còrse sugli occhi.
Ma poi, mentre il Tidíde correa dietro il volo dell’asta,
oltre le prime schiere, dov’erasi a terra confitta,
Ettore trasse il respiro di nuovo, e, balzato sul carro, 360lo spinse fra le turbe, schivando la livida Parca.
Ma sopra lui, con l’asta balzò Dïomede, e gli disse:
«Anche una volta, o cane, tu schivi la morte! Il malanno
presso ti fu; ma di nuovo t’ha Febo salvato, a cui certo
preci tu levi, quando ti lanci fra il rombo dell’armi. 365Pure, ti finirò, se cogliere ancóra ti posso,
se, per ventura, alcuno dei Numi vorrà favorirmi!
Per ora, piomberò sugli altri, in chiunque m’imbatta».
Disse; e spogliò dell’armi l’insigne figliuol di Peóne.
Ma d’Elena, la bella dal fulgido crine, lo sposo, 370tese contro il Tidíde pastore di popoli, l’arco,
stando al riparo d’una colonna, sovressa la tomba
d’Ilo, di Dàrdano figlio, vetusto signore di genti.
Stava sfilando quegli dal petto d’Agàstrofo prode
la scintillante corazza, lo scudo dal braccio, e la salda 375celata; ed ecco, tese i bracci Alessandro dall’arco,
e lo colpí, ché il dardo non vano gli uscí dalle mani,