260umbilicato, lo colse l’Atríde con l’asta, e l’uccise.
E fattosi su lui, la testa gli svelse, sul corpo
d’Ifidamante. Cosí d’Antenore i figli, per mano
cadder del figlio d’Atrèo, discesero ai regni d’Averno.
E ad aggirarsi poi seguitò fra le turbe guerriere, 265lancia vibrando e spada, scagliando immani macigni,
sinché dalla ferita sgorgava ancor tepido il sangue.
Ma quando poi stagnò la piaga, né il sangue piú corse,
spasimi acuti allora pervasero il cuore all’Atríde.
Come una donna, quando s’approssima il parto, trafigge 270l’aguzzo atroce dardo cui vibran le Ilizie dogliose,
d’Era le figlie, ch’ànno retaggio di fieri travagli:
fiere cosí dell’Atríde pervasero il cuore le doglie.
Balzò sovresso il cocchio, e diede comando all’auriga
che lo portasse verso le navi: ché troppo era affranto. 275E ai Dànai quindi vòlto, levava acutissimo grido:
«Amici, che gli Argivi reggete e guidate alla pugna,
or proteggete voi le navi che solcano il mare,
dalla funesta battaglia, perché non concesse il Croníde
che io da mane a sera potessi pugnar coi Troiani». 280Cosí disse. Sferzò l’auriga i chiomati cavalli
verso le còncave navi; né furono quelli ritrosi;
ma, cospargendo il petto di spuma, le gambe di polve,
dalla battaglia lungi recarono il sire doglioso.
E come Ettore vide l’Atríde ritrarsi in disparte, 285si volse, alta levando la voce, ai Troiani ed ai Lici:
«Troiani, Lici, e voi valenti a pugnar corpo a corpo
Dàrdani, uomini siate, pensate a combatter da prodi.
L’uomo piú prode di tutti via fugge; e gran gloria consente