170Ma quando al faggio poi fûr giunti, e alle porte Sceèe,
quivi fermarono il piede, attesero quivi i compagni;
e quelli, via nel piano fuggivano, come giovenche
fuggono, ch’abbia un leone sgomente nel cuor della notte,
tutte, sebbene l’estrema rovina abbia còlta una sòla: 175ché la ghermí, la cervice coi denti gagliardi le franse
prima; ed il sangue poi, le viscere tutte ne inghiotte.
Similemente, l’Atríde gagliardo incalzava i Troiani,
l’ultimo sempre uccidendo: fuggivano quelli atterriti.
E molti proni, e molti supini cadevan dai cocchi, 180sotto i suoi colpi: ché pieno di furia ei vibrava la lancia.
Ma quando stava già per giungere sotto la rocca,
sotto l’eccelse mura, degli uomini il padre e dei Numi
giunto era allora dell’Ida sui vertici irrigui di fonti,
ch’era disceso dal cielo: stringeva la folgore in pugno. 185E spinse Iri, ch’à d’oro le piume, a recare un messaggio:
«Iri veloce, va’, reca ad Ettore questo messaggio:
sin ch’ei veda Agamènnone prode, pastore di genti
infurïar tra i primi, struggendo le file guerriere,
egli si tenga indietro, dia mònito agli altri guerrieri 190ché sappian ne la fiera battaglia affrontare i nemici;
ma quando poi, trafitto di lancia, o colpito di freccia,
risalirà sul cocchio, infondere in lui vô tal possa,
ch’ei sterminare Achivi potrà sin che giunga alle navi,
e il sol s’immerga, e scenda sul mondo la tenèbra sacra». 195Disse. Ed Iri obbedí veloce dai piedi di vento,
e giú dai picchi d’Ida verso Ilio la sacra discese,
ed Ettore trovò divino, di Priamo figlio,
che sui cavalli stava, sul carro di salda compage.
Iri dai pie’ veloci, vicina gli stette, e gli disse: