140Ulisse e Menelao, che in Ilio eran giunti messaggi,
sí che tornare piú non potessero al campo nemico,
ora l’oltraggio turpe scontare dovete del padre».
Disse. Ed a terra, giú dal carro, sospinse Pisandro,
che lo colpí con la lancia nel petto; e quei cadde rovescio. 145Ippòloco balzò giú dal carro; ed a terra l’uccise:
le braccia gli mozzò a colpí di spada, ed il collo,
ed il troncone lanciò, come un curro, a rotar fra le turbe.
Qui lo lasciò. Poi, dove piú fitte volgeansi le schiere,
quivi balzò; dietro lui, gli Achei da le belle gambiere. 150E nella pugna, i fanti facevano strage dei fanti,
i cavalieri dei cavalieri — sotto essi sorgeva
polve che il pie’ dei cavalli sonoro levava dal piano —
imperversando col bronzo. Fra loro, Agamènnone prode
movea, continua strage facendo, esortando gli Argivi. 155Come se un fuoco infesto piombò sopra fitta boscaglia,
che dappertutto il vento lo spinge, lo voltola; e a terra
piomban le macchie, come le investe la furia del fuoco:
cosí sotto la furia cadean d’Agamènnone Atríde
le teste dei Troiani fuggiaschi; e ai confini del campo 160molti corsieri con alto strepore traevano i carri
vuoti, che avean perduti gli aurighi: giacevano al suolo
quei prodi, agli avvoltoi diletti piú assai che alle spose.
Ettore, poi, lo schermí dalle frecce il figliuolo di Crono,
dal sangue, dalla polve, dall’alto frastuon, dall’eccidio. 165Ma senza tregua i Dànai l’Atríde eccitava; e i Troiani
presso alla tomba d’Ilo, l’antico Dardànide, dove
cresceva il caprifico, fuggíano, per mezzo alla piana
per giungere alla rocca. Levando alte grida, l’Atríde,
sempre incalzava, di sangue lordando le indomite mani.