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prefazione XXXI

celeste, fragola; ma tòni sempre crudi e chiassosi. Nulla che ricordi, anche da lontano, le deliziose sinfonie in minore dei vasi di Camarès.

Arte stanca. Arte che riproduce, forse per obbligo, motivi che non sente, non predilige.

Non però arte di pura e semplice decadenza. Conosciamo opere della decadenza cretese, e hanno tutt’altro carattere1. Qui i motivi cretesi non cascano stanchi e menci. Qui sono pervasi da uno spirito estraneo, e, direi, antitetico, ostico, che li deforma, ma insieme li tiene su, li anima. È lo spirito della precisione, della geometrizzazione (si pensi specialmente agli alberi dell’affresco di Tirinto): è un più profondo sentimento della costruzione anatomica: è, nella caccia al cinghiale calidonio dell’affresco di Tirinto, una tendenza alla pittura narrativa, storica.

Non penseremo, dunque, ad artisti di Creta, ma piuttosto ad abili artisti locali, che, forse per comando dei loro signori, costringevano la propria arte a dei motivi, a uno stile straniero.

Ad ogni modo, questa fu l’arte ufficiale dei signorotti Achei. Essa rifletté, in forme che a quelli parvero soddisfacenti, il mondo reale cantato da Omero. A parte l’impressione generale e le induzioni legittime, c’inducono ad affermarlo una

  1. Tipico, per esempio, il sarcofago di Paleocastro (Drerup, Omero (vers. italiana), fig. 155-156. Ci sono tutti i tipi cari all’arte cretese, ma slabbrati, spampanati a capriccio; e le forme che un tempo ebbero significato e funzione precisa (corna, doppia ascia), adoperate in semplice funzione ornamentale. Qui vediamo sviluppato sino alla corruzione un cattivo germe insito nella meravigliosa freschezza della florida arte cretese: la rilassatezza del freno stilistico. Si confronti anche l’ossario di Creta, in Perrot, Histoire de l’art pendant l’antiquité, vol. X, pag. 930.