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XXX prefazione

la bràttea d’oro con due rondinelle che volano col becco aperto e le ali spiegate (Acropoli di Micene)1, e, caratteristico su tutti, il famoso toro di Tirinto. Poi, le settecento rotelle d’oro raccolte da Schliemann nella terza tomba di Micene. Infine, gli affreschi di Tirinto, che oggi si possono benissimo studiare e valutare nelle belle riproduzioni del Rodenwalt2.

In tutte queste opere, appaiono, sí, i motivi cari all’arte cretese; ma alterati, grossolani, senza più alcuna squisitezza né di forma né di colore. Tali i delfini e il polpo di Tirinto (Rodenwalt, fig. 81-82). E specialmente si osservino gli alberi che in un affresco, anche di Tirinto, circondano il carro dove sono un re ed una regina (ivi, tav. XII). Per tronco, una specie di canna di bambú; e per fogliame, una vèntola ovoidale, limitata da una precisa cornice, dentro la quale son contenute una quantità di bacchette verticali cariche di foglie infilzate a dritta e a manca. A questo è ridotta la fresca e libera sensibilità cretese, che faceva piegare le foglie e le corolle al transito dei venti.

E nelle rotelle d’oro, i polpi, le farfalle, le foglie di Creta, sono squadrate, imprigionate, mutilate con metodo procusteo, per farle entrare nella circonferenza.

E se badiamo ai colori, negli affreschi di Tirinto, vediamo nòte fosche — marrone, azzurro, nero — o chiare — bianco,

    non è sembrato opportuno riprodurre i monumenti figurati. Il lettore che s’interessa a questa discussione, li troverà facilmente nei vari manuali. Io qui aggiungo però le indicazioni dei libri in cui si trovano le riproduzioni più soddisfacenti.

  1. Dussaud, Les civilisations préhelléniques dans le bassin de la mer Égée, fig. 58.
  2. Tiryns, Atene, 1912.