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230-259 CANTO X 229

230voleva Ulisse, cuore tenace, affrontare le turbe
degl’inimici, ché pieno d’ardire era sempre il suo cuore.
Fra loro, infine, il sire di genti Agamènnone disse:
«O di Tidèo figliuolo diletto al cuor mio, Dïomede,
tu scegli dunque, come lo brami, il compagno, il migliore
235di quanti innanzi a te ne vedi: ché molti n’han brama;
né sia che, per rispetto che tu possa avere, il migliore
lasci, e il da meno scelga compagno, per qualche riguardo,
badando alla sua stirpe, perch’egli sia re piú possente».
     Cosí dicea: ché molto temea pel fratello suo biondo.
240E a lui disse cosí Dïomede, gran voce di guerra:
«Se voi volete ch’io da me stesso mi scelga il compagno,
e come mai potrei scordarmi d’Ulisse divino,
ché piú d’ogni altro ha saldo lo spirito in ogni travaglio,
deciso il cuore, ed è prediletto di Pallade Atena?
245Egli mi segua; ed anche di mezzo alla vampa del fuoco
tornar sapremo entrambi: ch’ei supera tutti in astuzia».
     E a lui cosí rispose Ulisse divino tenace:
«Tu non mi devi, o Tidíde, né biasimo volger, né lode:
ché fra gli Achivi parli, che ben sanno ciò. Ma si vada:
250che già la notte al fine s’appressa, e vicina è l’Aurora,
sono avanzati gli astri, trascorse son già della notte
piú di due parti, e oramai la terza soltanto rimane».
     Come ebbe detto ciò, si cinse dell’armi tremende.
Qui, Trasimède, l’eroe guerriero, una spada a due tagli
255porse al Tidíde, che aveva lasciata la sua nella nave,
ed uno scudo; e un elmo di pelle di toro gli strinse
d’intorno al capo, senza cimiero né cresta, ch’è detto
barbuta, e suole il capo schermire ai robusti campioni.
E spada arco e turcasso Meríone porse ad Ulisse,