200dopo le stragi, quando nascosto avea tutto la notte.
Seduti qui, parole scambiarono l’uno con l’altro;
e Nèstore parlò per primo, il gerenio signore.
«O cari, niun di voi potrebbe nel cuore gagliardo
trovare tanto ardire che andasse fra i prodi troiani, 205se dei nemici alcuno trovasse all’estremo del campo,
oppur se in mezzo a loro potesse udir qualche discorso,
che cosa van tramando fra loro, che cosa hanno in mente,
se rimaner da lungi dinanzi alle navi, o tornare
alla città di nuovo, poi ch’abbiano vinti gli Argivi? 210Di questo egli informarsi dovrebbe, ed illeso alle navi
tornare; e sino al cielo potrebbe fra gli uomini tutti
salir la gloria sua. E un dono magnifico avrebbe:
ché quanti sono qui piú ricchi, signori di navi,
ciascuno il dono a lui farà d’una pecora negra, 215ch’abbia l’agnello a la poppa: ché dono non v’è che l’agguagli;
e dei banchetti sarà partecipe ognor, dei conviti».
Cosí diceva. E tutti rimasero cheti, in silenzio.
Indi, alla fine, parlò Dïomede, gran voce di guerra:
«Nèstore, il cuore mio mi spinge, e lo spirito prode, 220ch’io tra le schiere muova, che presso ci son, dei nemici.
Ma bramerei che meco qualche altro campione venisse:
ché piú sicura sarebbe l’impresa, maggiore il coraggio.
Se vanno insieme due, l’un vede, se l’altro non vede,
quello che sia pel meglio: un solo, se pure lo vede, 225è la sua mente però piú corta, minore l’acume».
Cosí diceva; e molti voleano seguire il Tidíde.
Primi volevano i due seguaci di Marte, gli Aiaci,
volea Meríone, piú voleva di Nèstore il figlio,
volea l’Atríde, insigne di lancia guerrier, Menelào,