Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/282

170-199 CANTO X 227

170di certo, a me bei figli non mancano, e genti in gran copia,
e ognuno d’essi avrebbe potuto chiamare i sovrani.
Ma ora, troppo grande sciagura soggioga gli Achivi:
sul filo d’un rasoio di tutti gli Achivi è la sorte,
se luttuosa fatale rovina li attenda, o salvezza.
175Ora, su presto, Aiace veloce e il figliuol di Filèo
chiama, se provi pietà di me: ché piú giovine sei».
     Disse. E il Tidíde la pelle gittò d’un lion su le spalle,
fulvido, grande, che ai pie’ gli scendeva, e impugnò la zagaglia,
e mosse, e dalle tende uscire li fe’, li condusse.
180E quando essi fûr giunti dov’erano insieme le scólte,
i loro duci qui non trovarono immersi nel sonno,
ma tutti quanti desti vegliavano, e stretti nell’armi.
Come in un chiuso i cani fan guardia penosa alla greggia,
quando una fiera s’ode feroce che l’alpe traversa,
185che per il bosco avanza: le suona d’intorno frastuono
d’uomini e cani; e quelli non godon ristoro di sonno:
cosí non era a quelli sopor sulle pàlpebre sceso,
nella penosa guardia, ma sempre badavano al piano,
come vedevano mosse pel campo nemico. E il vegliardo
190li vide, si allegrò, volse ad essi parole a conforto:
«Cosí continuate la guardia, figliuoli, né al sonno
ceda veruno, ché i nostri nemici poi n’abbian sollazzo».
     Detto cosí, valicò la fossa; e gli tennero dietro
tutti i sovrani argivi chiamati a consulto; e con loro
195anche Meríone, e il figlio di Nèstore fulgido andava,
ch’essi li avean chiamati, per prendere parte al consiglio.
E, valicati di là della fossa, sederono in luogo
dove pulito e sgombro di salme appariva il terreno
d’onde ritratto s’era di Priamo il figlio gagliardo,