140e dalla tenda fuori balzò, disse queste parole:
«Perché lungo le navi pel campo vagate soletti,
per l’alta notte? Quale bisogno cosí vi sospinge?».
E a lui Nèstore allora, gerenio guerriero, rispose:
«Ulisse, o molto scaltro divino figliuol di Laerte, 145non ti crucciare: troppa sciagura soggioga gli Achivi.
Ma seguimi; e svegliamo qualche altro, a cui pure s’addica
dare consiglio, se omai la pugna convenga, o la fuga».
Cosí diceva. E Ulisse scaltrissimo entrò nella tenda,
sopra le spalle gittò lo scudo che vario fulgeva, 150e andò con essi. E giunser dov’era il Tidíde. All’aperto,
fuor dalla tenda, armato giaceva; e d’intorno i compagni
dormiano, e sotto il capo tenevan gli scudi; e le lance
stavan diritte, infisse sul calcio; ed il bronzo, da lungi
splendea, come baleno di Giove Croníde. L’eroe 155dunque dormia: su una pelle giaceva di bove selvaggio,
ed era sotto il capo disteso un tappeto fulgente.
Nèstore, cavaliere gerenio, gli stette vicino,
l’urtò col piede, e, desto che l’ebbe, crucciato gli disse:
«Sveglio, Tidíde! A che dormir, quanto è lunga la notte? 160Non sai? Sono i Troiani sul pòggio che domina il piano,
presso le navi, e spazio ben poco da noi li sepàra!».
Cosí diceva. E quegli, repente dal sonno riscosso,
a lui parlò, si volse col volo di queste parole:
«Sei pur tremendo, o vecchio! Non mai dal travaglio desisti! 165Altri non c’eran forse piú giovani figli d’Acaia,
che ad uno ad uno tutti svegliare potessero i prenci,
girando il campo? Nulla, nessuno, può, vecchio, sfuggirti!»
E Nèstore, gerenio guerriero, cosí gli rispose:
«Sí tutto ciò ch’ài detto, l’hai detto a proposito, o figlio: