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50-79 CANTO X 223

50Ettore: eppure non è figliuol d’una Dea, né d’un Nume.
Gesta ha compiute quante dovran ricordare gli Argivi
ben lungo tempo: tanti malanni ha recati agli Achei.
Ma su, via, corri adesso lunghesse le navi, ed Aiace
chiama, con Idomenèo: io stesso da Nèstore vado,
55e quel divino esorto, se sorgere vuole dal sonno,
se delle scólte vuole recarsi alla schiera gagliarda,
ad impartir comandi: sarebbe piú d’altri obbedito,
poiché suo figlio ad essi presiede, e con lui Merïóne,
d’Idomenèo scudiere: ché ad essi le abbiamo affidate».
     60E a lui disse cosí Menelao, prode all’urlo di guerra:
«Qual’è, proprio, il comando che tu mi rivolgi e proponi?
Debbo aspettare lí con essi, finché tu non giunga,
o debbo a te tornare, quando abbia impartito il comando?».
     E a lui questo il signore di genti Agamènnone disse:
65«Rimani lí, sicché non ci abbiamo a smarrire, movendo
l’un verso l’altro: ché molti viottoli sono pel campo.
Dà, come giungi, una voce a ciascuno, ridestali tutti,
chiamali ad uno ad uno, nomando la stirpe paterna,
onore a tutti rendi, non far che tu appaia superbo,
70ché faticare anche noi dobbiamo: di tale miseria
Giove possente ci volle gravare dal dí che nascemmo».
     Disse, con questi chiari comandi inviò suo fratello.
Ed egli in cerca mosse di Nèstore, sire di genti;
e lo rinvenne presso la tenda e la negra sua nave,
75su letto molle: presso giacean l’armi, varie di fregi,
lo scudo, due zagaglie, l’elmetto coi quattro pennacchi,
e presso, il corsaletto giaceva, di vago fulgore
onde cingeasi, quando moveva a battaglia, il vegliardo,
guidando il popol suo: ché ancor non cedeva alla trista