Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/272

649-678 CANTO IX 217

Vicino alla mia tenda, vicino alla nave mia negra,
650dovrà, per quanto ei sia bramoso di pugne, fermarsi».
     Cosí diceva. E, presa ciascuno la duplice coppa,
libato presso i legni, tornarono: e Ulisse era guida.
Pàtroclo l’ordine diede ai cari compagni e a le ancelle
che per Fenice un letto stendessero solido, in fretta.
655E quelle, pronte, come disse egli, apprestarono il letto,
e la coperta, ed il vèllo, e il molle coltrone di lino;
e quivi giacque il vecchio, l’Aurora divina attendendo.
Dormiva Achille anch’esso, in fondo alla solida tenda,
e a lui presso una donna che aveva condotta da Lesbo,
660la figlia di Forbante dal viso gentil, Dïomeda.
Pàtroclo all’altro lato giaceva; e gli stava daccanto
Ifi elegante: a lui donata l’aveva il Pelíde
quando ebbe presa Sciro scoscesa, la rocca d’Evèno.
     Giunsero intanto alla tenda, quegli altri, del figlio d’Atrèo,
665e con le coppe d’oro li accolsero i figli d’Acaia,
chi qua, chi là, dimande volgendo, levandosi in piedi.
E parlò prima il re di genti Agamènnone, e disse:
«Dimmi, su’ dunque, Ulisse famoso, gran vanto d’Acaia,
s’egli le navi intende schermire dal fuoco nemico,
670o se rifiuta, ed ira gl’invade ancor l’anima grande».
     E Ulisse a lui rispose, l’eroe paziente divino:
«O glorïoso Atríde, di genti, o Agamènnone, sire,
spengere l’ira sua colui non intende, ma sempre
piú di furore è pieno, né te né i tuoi doni gradisce.
675E disse che da te tu provveda fra il popolo argivo,
come potrai salvare le navi e le turbe d’Acaia.
E la minaccia aggiunse, che appena si mostri l’Aurora,
sul mare spingerà le navi dai solidi banchi;