Vicino alla mia tenda, vicino alla nave mia negra, 650dovrà, per quanto ei sia bramoso di pugne, fermarsi».
Cosí diceva. E, presa ciascuno la duplice coppa,
libato presso i legni, tornarono: e Ulisse era guida.
Pàtroclo l’ordine diede ai cari compagni e a le ancelle
che per Fenice un letto stendessero solido, in fretta. 655E quelle, pronte, come disse egli, apprestarono il letto,
e la coperta, ed il vèllo, e il molle coltrone di lino;
e quivi giacque il vecchio, l’Aurora divina attendendo.
Dormiva Achille anch’esso, in fondo alla solida tenda,
e a lui presso una donna che aveva condotta da Lesbo, 660la figlia di Forbante dal viso gentil, Dïomeda.
Pàtroclo all’altro lato giaceva; e gli stava daccanto
Ifi elegante: a lui donata l’aveva il Pelíde
quando ebbe presa Sciro scoscesa, la rocca d’Evèno.
Giunsero intanto alla tenda, quegli altri, del figlio d’Atrèo, 665e con le coppe d’oro li accolsero i figli d’Acaia,
chi qua, chi là, dimande volgendo, levandosi in piedi.
E parlò prima il re di genti Agamènnone, e disse:
«Dimmi, su’ dunque, Ulisse famoso, gran vanto d’Acaia,
s’egli le navi intende schermire dal fuoco nemico, 670o se rifiuta, ed ira gl’invade ancor l’anima grande».
E Ulisse a lui rispose, l’eroe paziente divino:
«O glorïoso Atríde, di genti, o Agamènnone, sire,
spengere l’ira sua colui non intende, ma sempre
piú di furore è pieno, né te né i tuoi doni gradisce. 675E disse che da te tu provveda fra il popolo argivo,
come potrai salvare le navi e le turbe d’Acaia.
E la minaccia aggiunse, che appena si mostri l’Aurora,
sul mare spingerà le navi dai solidi banchi;