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469-498 CANTO IX 211

dentro il vestibolo, un altro del talamo innanzi alle porte.
470Ma quando giunse po col buio la decima notte,
le ben connesse porte del talamo allora sfondai,
fuori balzai, con un salto varcai del recinto le mura,
agevolmente alle guardie sfuggendo e a le vigili ancelle.
E poi, per l’ampie vie de l’Ellade corsi fuggiasco,
475e giunsi a Ftía, ferace di zolle, nutrice di greggi,
dove di cuore m’accolse benevolo il sire Pelèo,
m’amò, sí come un padre fornito di molte sostanze,
amar potrebbe un figlio che unico fosse, e bambino,
ricco mi rese, mi diede di genti in gran copia il governo.
480Sui Dòlopi, cosí, regnavo, ai confini di Ftía.
E te resi quale ora tu sei, pari ai Superi, Achille,
con amorosa cura: ché tu con niun altro volevi
recarti ad un banchetto, né in casa gustare alcun cibo,
se prima su le mie ginocchia preso io non t’avessi,
485e sminuzzato il cibo, pasciuto, mesciuto da bere.
E spesso a me sul petto la tunica molle rendesti
di vin, che tu spruzzavi nei tuoi fanciulleschi capricci.
Cosí molte fatiche per te, molte pene soffersi,
questo pensando, che a me gli Dei non concessero un figlio,
490nato da me; ma come mio figlio te, Achille divino,
crebbi, perché da sorte funesta tu un dí mi schermissi.
Su via, dòmina, Achille, lo sdegno tuo grande. Serbare
cuore implacato a te non s’addice: si piegano anch’essi
i Numi. Essi han pur tanto piú forza, decoro e valore;
495eppure, con incensi di vittime e voti solenni,
con libagioni ed omenti, li piegano gli uomini, e preci,
quando fallisca, o franga qualcuno le leggi divine.
Poiché ci son le Preci, figliuole di Giove possente,