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290-318 CANTO IX 205

290Fèa, con la molto santa Antèa dai pinguissimi prati,
Epèa la bella, e, tutta coperta di vigne, Pedàso,
tutte vicino al mare, di Pilo sabbiosa ai confini.
Uomini in tutte han dimora di greggi opulenti e di bovi,
che a te, come ad un Nume, presenti offriranno, che sotto
295lo scettro tuo, larghezza daranno di pingui tributi.
Questi i presenti che a te farà, se tu l’ira deponi.
Ché pur se troppo in odio ti sono l’Atríde e i suoi doni,
muoviti almeno a pietà degli altri compagni, che stanno
sgomenti, esterrefatti, pel campo, che al pari d’un Nume
300t’onoreranno: grande fra loro sarà la tua gloria.
Ettore cogliere adesso potresti: ché certo vicino
or ti verrebbe, tanta è la furia che l’arde; e millanta
che niuno a par gli sta, dei Dànai venuti per mare».
     E a lui rispose Achille veloce con queste parole:
305«Figlio divin di Laerte, Ulisse dai molti lacciòli,
una parola senza riguardo ti debbo pur dire,
cosí come io la penso, cosí come avrà compimento,
perché chi qua chi là non veniate a garrirmi d’intorno.
Per me, come le porte d’Averno odïoso è quell’uomo
310che nel pensiero una cosa nasconde, ed un’altra ne dice.
Io chiaro ti dirò qual mi sembra l’avviso migliore.
Farmi convinto, no, non potrà l’Agamènnone Atríde,
né gli altri Dànai tutti; perché niuna grazia io riscossi
del mio combatter senza mai tregua le genti nemiche.
315Uguale premio attende chi sempre combatte e chi poltre,
sono tenuti nel pregio medesimo il prode e il codardo.
E nulla resta a me, poiché tanti crucci ho sofferto,
sempre la vita mia nelle zuffe ponendo a cimento.