200Quindi a Pàtroclo disse, che gli era vicino: «Il cratère
prendi piú grande che c’è, figliuol di Menezio; ed un mischio
fa’ ben gagliardo, e metti dinanzi a ciascuno una coppa;
ch’or sotto la mia tenda son giunti gli amici piú cari».
Disse. E del caro amico fu Pàtroclo pronto al comando. 205Poscia, accostato un grande tagliere alla vampa del fuoco,
sopra di pingue capra vi pose, e di pecora il dorso,
e d’un maiale pasciuto la schiena fiorente di grasso.
Tutto tagliò con arte, i pezzi infilò negli spiedi,
gran fuoco il figlio accese, che un Nume parea, di Menezio. 210E poi che il fuoco fu bene acceso, e la fiamma languiva,
tutta spianò la brace, poggiò sugli alari gli spiedi,
di sale cospargendo, di vino le carni sospese.
Poi che arrostite l’ebbe, posate sovressi i taglieri,
Pàtroclo prese il pane, lo distribuí su la mensa, 215entro canestri belli: le carni divise il Pelíde.
Ed egli si sede’ dinanzi ad Ulisse divino,
alla parete opposta. L’incarico a Pàtroclo diede
poscia, di fare ai Numi le offerte: le offerte nel fuoco
quegli gittò; poi tutti disteser sui cibi le mani. 220E poi che fu bandita la brama del cibo e del vino,
volse ad Aiace un cenno Fenice. Ma Ulisse lo vide,
ed una coppa empiuta, rivolse un saluto ad Achille:
«Salute, Achille! A noi non manca la mensa gradita
entro la tenda, sia dell’Atríde Agamènnone, sia 225qui, nella tua, come ora, che cibi vi sono in gran copia
da banchettare. Ma ora pensar non possiamo a banchetti:
ché troppo grande sciagura dobbiamo vedere, o divino,
e sbigottiamo: siamo nel dubbio, se salve le navi
saranno, oppur distrutte, se tu tua prodezza non vesti: