140quelle che a lui piú belle parranno, dopo Elena argiva.
Se ad Argo achiva poi, della terra mammella, torniamo,
genero mio lo bramo, diletto non meno d’Oreste,
l’ultimo figlio mio, che in mezzo ad ogni agio è nutrito.
Nella mia casa bene costrutta, mi crescon tre figlie, 145Ifïanassa, Laodíce, Crisòtemi: scelga fra queste
quella che vuole, e l’adduca, né doni di nozze io pretendo,
alla magion di Pelèo: ché anzi, gradevoli doni
io gli darò, quanti mai ne diede alcun padre alla figlia.
Sette gli voglio dare munite città popolose, 150Ènope, Cardamíle, con Ire di pascoli ricca,
Fere, la molto santa, dai prati pinguissimi, Antèa,
Epèa la bella, e, tutta coperta di vigne, Pedàso,
tutte vicino al mare, di Pilo sabbiosa ai confini.
Uomini in tutte opulenti di greggi e di bovi han dimora, 155che a lui, come ad un Nume, presenti offriranno, che sotto
lo scettro suo, larghezza daranno di pingui tributi.
Io tutto questo farò, se dall’ira desiste. Ed ei ceda:
Ade soltanto non sa piegare, non cede a lusinghe;
ed è fra tutti i Numi, per questo, odioso ai mortali: 160si sottometta a me, però ch’io son re piú possente,
però ch’io sono, penso, a lui piú provetto negli anni».
E a lui Nèstore questo rispose, il guerriero gerenio:
«O glorïoso Atríde, di genti, Agamènnone, sire,
non son da poco, no, questi doni che offri ad Achille. 165Su via, scelti campioni si mandino, e senza indugiare
si rechino alla tenda d’Achille figliuol di Pelèo.
Su’, voglio sceglierli io; né alcuno m’opponga rifiuto.
Scelgo per primo, e sia duce, Fenice diletto ai Celesti:
il grande Aiace sia secondo, ed Ulisse sia terzo;