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1io-139 CANTO IX 199

110vilipendesti l’uomo che onorano sino i Celesti,
ché gli togliesti il suo dono, ché ancora lo tieni. Ma ora
si cerchi per che via mitigarlo possiamo o placarlo,
doni mirabili offrendo, parole piú dolci del miele».
     E a lui cosí rispose l’Atríde signore di genti:
115«Vecchio, gli errori miei son veri, né dici menzogna.
Fui cieco, neppure io lo posso negare: ché vale
per molti e molti, l’uomo cui Giove diliga di cuore,
come or questi onorò, struggendo le schiere d’Acaia.
Ma poi che la funesta mia mente mi trasse all’errore,
120voglio di nuovo adesso placarlo con doni infiniti;
e innanzi a tutti voi descrivo i magnifici doni.
Sette tripodi, intatti dal fuoco, dieci aurei talenti,
venti lebèti, che tutti scintillano, venti corsieri
forti, che premii sempre solean dalle gare portarmi:
125privo di pane mai non può essere l’uomo che li abbia,
mai non sarà sprovvisto dell’oro, che tanto è pregiato:
tanti hanno vinto premii per me, quei veloci corsieri.
Poi, sette donne di Lesbo, spertissime d’opere egregie,
io gli darò, che scelsi per me, quando ei Lesbo espugnava,
130che per bellezza tutte vincean quante femmine sono.
Io queste gli darò: la figlia di Brise fra loro
anche sarà, che un giorno gli tolsi; ed un giuro solenne
faccio: che il letto mai non ne ascesi, che seco non giacqui,
come costume è pure degli uomini tutti e le donne.
135Ei tutti quanti avrà questi doni; e se un giorno i Celesti
consentano che cada la rocca di Priamo a terra,
quando noialtri Achei saremo a spartire la preda,
venga, e a sua posta d’oro la nave ricolmi e di bronzo,
e venti poscia elegga per sé delle donne troiane,