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50-79 | CANTO IX | 197 |
50Cosí parlava; e fu tra gli Achivi un clamore d’assenso,
che del Tidíde prode stupiti ascoltavano i detti.
E poi, Nèstore surse fra loro a parlare, che disse:
«Gagliardo piú d’ogni altro tu sei nella guerra, o Tidíde,
e nel consiglio su tutti gli eguali d’età sei valente;
55e niun le tue parole vorrà biasimar degli Achivi,
né contro te parlerà. Ma tutto però non hai detto,
ché giovane ancor sei, potresti ben essermi figlio,
il piú giovin dei figli, sebbene assennato favelli
ai prenci Argivi, e quello ch’ài detto fu tutto opportuno.
60Su, dunque, io che di te son tanto piú innanzi negli anni,
favellerò, tutto quanto dirò quel che penso; e i miei detti
nessuno spregerà, neppure Agamènnone forte:
ché non ha legge o tribú, non ha focolare quell’uomo
che vago è della guerra civile, ferace d’orrori.
65Ma prima, ora obbedire conviene alla notte ed al buio.
Dunque, si appresti la cena; dinanzi alla fossa scavata,
scólte si pongano fuori del muro, ciascuna al suo posto.
Questi comandi, per me, rivolgo ai soldati: del resto
comanda, Atríde, tu: chè il duce supremo tu sei.
70Ed offri indi un banchetto, ché questo è opportuno, agli anziani.
Son le tue tende piene di vino, che giorno per giorno
recano a te dalla Tracia, sul mare, le navi d’Acaia;
e tutto hai quanto basta, ché a molti comandi, al convito.
E quando in molti, poi, saremo adunati, si ascolti
75chi dia miglior consiglio: di buono, d’accorto consiglio
hanno bisogno gli Argivi: ché presso le navi i nemici
bruciano molti fuochi: chi mai ne trarrebbe allegrezza?
Sí, questa notte vedrà distrutto l’esercito, o salvo».
Cosí parlava; e gli altri l’udirono, e furon convinti.