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340-369 CANTO VIII 185

350«Ahimè!, figlia di Giove signore dell’ègida, dunque
noi non avremo piú mai dei Dànai pietà, che distrutti
vanno cosí, che per tristo destino pervengono a morte,
per l’impeto d’un uomo! Ché niuno pon freno a la furia
d’Ettore, figlio di Priamo, che tanti malanni ha compiùti!».
     355E a lei cosí rispose la Diva dagli occhi azzurrini:
«Deh!, se davvero costui perdesse la forza e la vita
sotto le man’ degli Achivi, distrutto nel suol di sua patria!
Ma sempre il padre mio delira fra tristi pensieri,
perfido sempre, e tristo, che ad ogni mia brama s’oppone.
360Non si ricorda piú quante volte suo figlio salvai
che soccombeva già d’Euristèo sotto i gravi travagli.
Quegli piangeva allora, volgendosi al cielo; e il Croníde
soleva me dal cielo mandare, per dargli soccorso.
Ma se poteva ciò prevedere la scaltra mia mente,
365quando egli scese all’Ade, che sta delle porte a custodia,
per trarne il cane esoso d’Averno dall’Èrebo fuori,
non si salvava, no, dai gorghi rapaci di Stige.
Ora ei m’esècra invece, di Tètide approva i disegni,
che gli baciò le ginocchia, che al mento gli tese la mano,
370perché d’onore Achille di rocche eversore coprisse.
Giorno però verrà, che ancor dovrà dirmi sua cara!
Su via, dunque i cavalli per noi solidunguli appresta,
e intanto io nella casa di Giove, dell’ègida sire,
entro, e dell’armi da guerra mi vesto: ché voglio vedere
375se sarà lieto il figlio di Priamo dall’alto cimiero,
quando apparire vedrà noi due nella lizza di guerra,
oppur se pascerà cani e uccelli qualcun dei Troiani
col grasso e con le polpe, dinanzi alle navi cadendo».
     Cosí disse. E fu pronta la Dea dalle candide braccia,