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290-309 CANTO VIII 183

     290E l’infallibile Teucro rispose con queste parole:
«O glorïoso Atríde, perché tu mi spingi, se sono
già di per me tutto foga? Sin quando la forza mi assista
io non desisterò. Da quando incalzammo i Troiani,
io qui, stando alla posta, trafiggo col dardo i guerrieri.
295Otto lanciate ho già saette di cuspide aguzza,
tutte si son nelle membra di giovani svelti confitte:
ma solo questo cane rabbioso colpire io non posso!».
     Cosí diceva. E un’altra saetta scagliò dalla corda,
contro Ettore, diritta, ché brama avea pur di colpírlo.
300Ma lo sbagliò: colpí Gorgitíone immune da pecca,
figlio diletto di Priamo, in petto la freccia gl’infisse.
Lui generato avea Castinéïra bella, che sposa
era venuta d’Asime, di forme una diva. — Ed il capo
piegò da un lato, come papavero quando negli orti
305a Primavera l’aggrava la bacca e la fresca rugiada:
cosí piegò da un lato la testa gravata da l’elmo.
     E Teucro un altro dardo lanciò dalla corda dell’arco,
contro Ettore, diritto, ché brama avea pur di colpirlo:
ed anche qui sbagliò, ché il colpo rese írrito Apollo.
310Ma d’Ettore l’auriga, l’audace Argettòlemo, mentre
moveva a zuffa, colpí nel petto, vicino a una mamma.
Piombò dal cocchio giú, si fecero indietro i cavalli
piedi veloci, e a lui mancarono spiriti e forze.
D’acuta doglia, allora, colpíto fu d’Ettore il cuore,
315per il compagno: qui lo lasciò, sebben pieno di cruccio,
e Cebrïone chiamò, suo fratello, che gli era vicino,
ché dei cavalli reggesse le briglie; né quegli fu tardo.
Ed egli giú balzò, dal carro suo lucido, a terra,
con un orribile grido: e, stretto nel pugno un macigno,