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200pur non ti piange il cuore, per tanto sterminio d’Achivi?
Pure, ad Elíca e ad Ège portare ti sogliono doni
molti e graditi! Or tu provvedi ch’essi abbian vittoria!
Ché se volessimo, quanti siam Numi propizi agli Achivi,
respingere i Troiani, frapporre una remora a Giove,
205solo soletto sull’Ida restare dovrebbe a crucciarsi».
     E il Nume a lei che scuote la terra, adirato rispose:
«Era, che a tempo tacere non sai, che parole son queste?
Io non vorrei che venissimo a lotta col figlio di Crono,
tutti noialtri; perché di tutti egli è molto piú forte».
     210Mentre cosí parole scambiavano l’uno con l’altro,
quanto era spazio di qua dalle navi, tra il muro e la fossa,
tutto s’andava empiendo di cavalli e d’uomini armati
sospinti a frotte. Il figlio di Priamo simile a Marte,
Ettore l’incalzava: ché Giove gli dava la gloria.
215E qui col fuoco ardente bruciava le navi librate,
se d’Agamènnone in cuore la Dea veneranda Giunone
non ispirava l’idea d’eccitare egli stesso gli Achivi.
Si mosse, dunque, lungo le tende e le navi d’Acaia,
nella gagliarda mano reggendo il purpureo manto.
220Presso la negra nave panciuta d’Ulisse ristette,
che sita era nel mezzo, perché la sua voce, da un lato
giunger potesse alla tenda d’Achille, dall’altro alla tenda
del Telamonio Aiace: ch’entrambi agli estremi del campo
aveano tratti i legni, fidando nel proprio valore.
225Dunque, di qui levò ai Dànai altissimo un grido:
«Vergogna, Achivi, tristi magagne, sol belli a vedere!
Dove sono iti i vanti di quando i piú prodi fra tutti
ci credevamo, e in Lemno, parlando con vana iattanza,
mangiando carne a iosa di buoi dalle corna diritte,