140domani la darà, se pure lo voglia, anche a noi.
Ma nessun uomo potrà mutare la mente di Giove,
per quanto sia gagliardo: ché Giove è piú forte di molto».
E gli rispose cosí Dïomede, fiero urlo di guerra:
«O vecchio, certo sí, tutto quello ch’ài detto è opportuno; 145ma questo è un cruccio grave che l’anima e il cuore m’invade:
ch’Ettore un giorno dire potrà, favellando ai Troiani:
— Di me temendo, un giorno fuggito è alle navi il Tidíde. —
Cosí millanterà. S’apra allora la terra e m’inghiotta!».
E Nèstore, gerenio signore, cosí gli rispose: 150«Ahimè!, che cosa hai detto, figliuol dell’accorto Tidèo?
Se pure Ettore dica che un vile e un imbelle tu sei,
non gli daranno, no, né Troiani né Dàrdani ascolto,
né dei Troiani guerrieri dal cuore animoso le spose,
a cui tu nella polve prostravi gli sposi fiorenti». 155Disse. E i corsieri voltò solidunguli in mezzo alle turbe,
novellamente a fuga. Ed Ettore, e seco i Troiani
le grida al cielo alzando, scagliaron le amare saette.
E un grido alto lanciò di Priamo il figlio su lui:
«Renderti assai d’onore solevano i Dànai, Tidíde, 160il posto nei banchetti, le carni, le coppe ricolme;
ma or ti spregeranno: ché a fatti eri come una donna.
Alla malora, trista bagascia, ché il campo diserti:
mai non sarà che le torri di Troia tu ascenda, e le nostre
donne alle navi trascini: avrai da me prima il malanno!». 165Cosí disse; e ondeggiava con duplice avviso il Tidíde:
voltar volle i cavalli, combatter con lui faccia a faccia:
tre volte questo avviso volgea nella mente e nel cuore,
e tre tuonò dai gioghi dell’Ida il prudente Croníde,
dando ai Troiani il segno che ad essi ridea la vittoria.