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80Con una freccia lo aveva colpíto Alessandro, lo sposo
d’Elena, a sommo il capo, nel punto ove crescono i crini
primi del cranio al cavallo, né alcuno ce n’è piú mortale.
Fe’, per la doglia, un gran balzo: la freccia trafisse il cervello;
ed anche spaventò, dibattendosi, gli altri cavalli.
85Ed ecco, mentre il vecchio le redini a colpi di spada
recidere tentava, giungevano i ratti corsieri
d’Ettore, tutti foga, recando l’auriga animoso.
E qui di certo avrebbe perduta la vita il vegliardo,
se Dïomede, aguzza pupilla, alto grido di guerra,
90non lo vedeva; e spronò, con urlo terribile, Ulisse:
«O di Laerte figlio divin, dove mai fra le turbe
tu fuggi, quasi un vile tu fossi, voltando le spalle?
Ve’, che qualcuno la lancia non t’abbia a piantar nella schiena!
Férmati; e lungi dal vecchio spingiamo quell’uomo selvaggio».
     95Cosí dicea; ma Ulisse tenace neppure l’intese,
ed oltre fuggí, verso le rapide navi d’Acaia.
Ma si lanciò Dïomede, sebben solo fosse, tra i primi,
stette dinanzi ai cavalli del vecchio figliuol di Nelèo,
e a lui favellò, queste parole veloci gli volse:
100«I giovani guerrieri t’incalzano troppo, o vegliardo,
e scema è la tua forza, ti preme l’infesta vecchiezza,
l’auriga tuo ben poco ti giova, son tardi i cavalli.
Or sul mio carro sali, su’ via, ché tu possa vedere
quali i cavalli sono di Tròo, bene esperti del piano,
105a correre di qua, di là, se s’insegua o si fugga,
ministri di terrore, che un giorno ho rapiti ad Enèa.
Abbiano cura i tuoi due servi di quelli; e noi, questi
contro i guerrieri troiani spingiamo, sí ch’Ettore anch’egli
sappia la lancia mia, come infuria, se in pugno la stringo».