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166 ILIADE 380-408

380E mosse Idèo, sul fare dell’alba, alle concave navi,
e i Dànaï trovò, valletti di Marte, a convegno,
presso alla poppa del legno del sire Agamènnone. Stette
fra loro, e disse queste parole l’araldo canoro:
«Atrídi, e quanti siete qui primi fra tutti gli Achivi,
385Priamo, e seco gli altri valenti Troiani, m’impose
ch’io vi dicessi, se pure l’udirlo v’aggradi e vi piaccia,
quanto propone Alessandro, che origine fu della guerra.
I beni tutti, quanti sovresse le concave navi
ei n’ha recati a Troia — deh!, prima cosí fosse morto! —
390ei tutti quanti vuole ridarveli, e aggiunger del proprio;
ma non di Menelao ridar la bellissima sposa
vuole, per quanto a ciò lo esortino tutti i Troiani.
Questa proposta ancora mi disse, se mai vi piacesse:
che si sospenda l’orrendo furore di guerra, sin quando
395arse le salme abbiamo. Sarà poi ripresa la guerra,
sin che decida un Nume a chi pur darà la vittoria».
     Cosí diceva; e tutti rimasero a lungo in silenzio.
Pure, alla fine, parlò Dïomede, alto grido di guerra:
«Nessuno accetti mai, né i doni che v’offre Alessandro,
400né pure Elena. È chiara cosí, da vederlo un fanciullo
che sui Troiani oramai sovrasta l’estrema rovina».
     Cosí diceva. Ed alto levarono un grido d’assenso
tutti gli Achivi, ammirando, per ciò ch’egli disse, il Tidíde;
ed Agamènnone queste parole rivolse all’araldo:
405«Idèo, tu stesso l’odi, che cosa rispondon gli Achivi:
la lor parola è chiara; né ciò che a me piace è diverso.
Quanto alle salme, oppormi non so che si diano alle fiamme
ché niuno impedimento pei corpi si fa degli estinti,