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290-319 CANTO VII 163

290per questo giorno, fine si ponga allo scontro e alla zuffa.
Un’altra volta, poi, torneremo a pugnare, sin quando
giudichi un Nume, e ad uno dei due, la vittoria conceda.
Ora, la notte scende: conviene alla notte ubbidire,
sicché presso le navi tu possa far lieti gli Achivi
295tutti, e gli amici piú di tutti, e i diletti compagni;
ed io torni alla grande città di Priamo, e lieti
tutti i Troiani, e tutte di Troia le donne eleganti
renda, che pregheranno per me nelle case dei Numi.
E l’uno e l’altro, su, scambiamoci fulgidi doni,
300ché dir possa cosí ciascun degli Achivi e i Troiani:
«L’un contro l’altro questi pugnarono in lotta mortale,
ma poi, fatto un accordo, la pugna lasciar come amici».
     Disse. E una spada gli offrí, tutta ornata di chiovi d’argento:
con la guaina la porse, col balteo di taglio elegante.
305E un cinto diede a lui, di porpora fulgido, Aiace.
Cosí furon divisi. L’un dessi tornò fra gli Achivi,
l’altro fra le falangi troiane, e il frastuono. E i Troiani
furono lieti, quando lo videro incolume e vivo,
sfuggito all’ira e al pugno d’Aiace invincibile; e ad Ilio
310lo ricondussero, quando perduta n’avean la speranza.
Dall’altra parte, poi, gli Achivi belligeri, Aiace
lieto di sua vittoria guidarono al figlio d’Atrèo.
Come alla tenda poi d’Agamènnone giunse, per essi
fece immolare l’Atríde signore di genti, un giovenco
315maschio, che aveva cinque anni, di Crono al possente figliuolo.
Tutta gli tolser la pelle, gli fecero a quarti le membra:
fattolo a pezzi minuti, lo infissero poi negli spiedi,
con cura lo arrostiron, poi tolsero tutto dal fuoco.
E poi che fu il lavoro cessato, e allestito il banchetto,