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170-199 CANTO VII 159

170Nèstore allora parlò, cavaliere Gerenio, e sí disse:
«Ora, su’ via, la sorte provate, chi venga prescelto.
Costui potrà recare non piccolo aiuto agli Achei,
e darne anche a sé stesso, se salvo riesce a sfuggire
dalla battaglia infesta, dall’urto nemico furente».
     175Cosí diceva. E quelli segnarono ognun la sua sorte,
e d’Agamènnone re la gittaron nell’elmo. E le genti,
alte le braccia ai Numi levaron con molte preghiere;
e ognuno, verso il cielo rivolte le luci, diceva:
«Deh!, Giove padre, Aiace sia scelto, o il figliuol di Tidèo,
180oppur lo stesso re di Micene che sfolgora d’oro».
     Cosí dicean. Le sorti nel casco agitava il guerriero
Nèstore; e quella fuori balzò che bramavano tutti:
quella d’Aiace. Si mosse da destra pel campo l’araldo,
di luogo in luogo; e il segno mostrava a quei prodi campioni.
185Niuno però lo conobbe, diniego ne fecero tutti.
Ma quando poi, girando via via per le schiere, pervenne
a chi l’aveva impresso, gittato nel casco, ad Aiace,
tese costui la mano, l’araldo vi pose la sorte.
E quegli, il proprio segno conobbe; e, gioendo nel cuore,
190presso ai suoi piedi, a terra, lasciò che cadesse, e proruppe:
«Amici, è proprio mio, questo segno, ed il cuore mi gode,
ché io vincere spero di Priamo il figlio divino.
Orsú, dunque, mentre io mi cingo dell’armi di guerra,
le preci voi frattanto levate al figliuolo di Crono,
195muti, fra voi, che nulla ne debban sapere i Troiani:
od anche, apertamente, ché noi non temiamo nessuno.
Niuno a sua posta potrà, se non voglio, respingermi a forza,
né ciò potrà con l’arte: ché tanto inesperto di guerra,
in Salamina, io credo, non fui generato, né crebbi».