140perché non combatteva con l’arco e le lunghe zagaglie,
bensí con una clava di ferro spezzava le schiere.
Licurgo uccise lui con la frode, non già con la forza,
in un’angusta via, là dove la clava di ferro
non lo salvò dalla morte, perché lo prevenne Licurgo 145che lo trafisse a mezzo con l’asta; e quei cadde supino.
Dell’armi lo spogliò, ch’eran dono del ferreo Marte,
ed egli or le indossava negli aspri tumulti di guerra.
E poi che nella casa Licurgo fu giunto a vecchiaia,
Euritalíone l’ebbe da lui, suo diletto scudiero. 150E con quell’arme indosso sfidava i piú prodi alla pugna.
Tutti tremavano, tutti temevano, e niun s’arrischiava:
sol me spinse alla zuffa lo spirito ardito e tenace,
col suo coraggio; ed ero per anni il piú giovin di tutti.
E combattei con lui, e Atena a me diede vittoria: 155quell’uomo uccisi, ed era di tutti il piú forte e il piú grande,
ché in lungo e in largo, molto di suolo ingombrava la salma.
Deh!, cosí giovine io fossi, deh!, avessi tuttor quella forza!
Ettore il prode, ben presto dovrebbe esser sazio di pugne.
Ma voi, quanti qui siete piú prodi fra tutti gli Argivi, 160neppure voi bramate venire con Ettore a pugna!».
Li rampognava il vecchio cosí. Nove sursero tosto.
Surse Agamènnone, primo fra tutti, pastore di genti;
secondo si levò Dïomède, il gagliardo Tidíde;
quindi gli Aiaci entrambi, vestiti di furia guerresca; 165e quindi Idomenèo, poi d’Idomenèo lo scudiere,
Meríone, ch’era pari a Eníalo vago di stragi;
Eurípilo poi surse, d’Evèmone il fulgido figlio,
surse Toante, il figlio d’Andrèmone, e Ulisse divino:
tutti volevano a zuffa venire con Ettore divo.